Ancor prima di capire quando e come l’ente pubblico eserciti sulla società affidataria diretta del servizio un “controllo analogo” a quello esercitato sui servizi gestiti direttamente si pone il problema di individuare la stessa natura giuridica di tali organismi, che assumono veste esterna di società di diritto privato per poi perseguire un fine pubblicistico.
In particolare, il profilo in questione involge la controversa questione se la società in house possa o meno essere qualificata come organismo di diritto pubblico o impresa pubblica o persona giuridica di diritto privato.
Partendo dalla nozione di “organismo di diritto pubblico” e di “impresa pubblica” per distinguerle da quella di società di diritto privato di cui al codice civile, il dibattito sul punto si svolge secondo tre distinte direzioni:a) il primo indirizzo che potremmo definire ‘restrittivo’, ponendosi in netto contrasto con quello costantemente assunto dalla Corte di Giustizia, ritiene insita alla stessa forma societaria una connotazione imprenditoriale di tipo commerciale che, in quanto tale, è incompatibile, anche sul piano letterale, con la nozione di organismo di diritto pubblico: la tendenza di questo primo orientamento è, pertanto, quella di escludere in modo assoluto la riconducibilità di organismi societari di tal genere alla categoria pubblicistica;
b) il secondo indirizzo (ormai maggioritario), che potremmo definire ‘estensivo’, aderisce all’idea per cui devono considerarsi organismi di diritto pubblico tutti gli enti, compresi quelli aventi forma societaria, la cui attività sia finalizzata a produrre utilità strumentali per l’interesse generale e comunque “aventi carattere non industriale o commerciale”, in quanto “non assoggettate a regole di mercato e dunque non perseguite sulla base di criteri strettamente imprenditoriali”.
I fautori di tale orientamento individuano un riscontro di diritto positivo nella legge-quadro in materia di appalti di lavori pubblici e, precisamente, nell’art. 2, co. 2, lett. b) della c.d. legge Merloni che estende l’applicabilità della disciplina pubblicistica per l’affidamento degli appalti medesimi alle “società con capitale pubblico, in misura anche non prevalente, che abbiano ad oggetto della propria attività la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza”;
c) il terzo indirizzo che potremmo invece definire ‘intermedio’, è quello in forza del quale i criteri da utilizzare nel verificare la riconducibilità del singolo ente (quale che sia la forma giuridica assunta nell’ambito del singolo ordinamento nazionale) alla nozione comunitaria di organismo di diritto pubblico sono quelli ordinari, coincidenti con gli elementi costitutivi della nozione medesima. Da tanto si fa discendere che anche una società per azioni può essere qualificata organismo di diritto pubblico quando, oltre ad essere sotto l’influenza dominante dello Stato, degli enti locali o di altri organismi di diritto pubblico, sia preposta all’espletamento di un’attività diretta al soddisfacimento di bisogni generali, purché non suscettibili di essere soddisfatti mediante la produzione di beni ovvero fornendo direttamente servizi alla collettività. In particolare, (secondo tale orientamento) devono ricondursi alla nozione di organismo di diritto pubblico quelle società che, pur esercitando un’attività di tipo commerciale, non prestano servizi in favore della collettività, ossia dei singoli e molteplici consumatori, ma svolgono attività di sostegno e promozione di altrui attività economiche, ovvero quelle che perseguono il soddisfacimento non già di bisogni diffusi, bensì di esigenze di singoli enti.
L’adesione all’uno piuttosto che all’altro indirizzo ha conseguenze di pregnante rilievo pratico nell’ambito d’indagine in questione:
-in primo luogo, sull’individuazione, in concreto, delle ipotesi in cui l’ente pubblico realizzi un “controllo analogo”.
È immediato chiedersi, sotto questo profilo, se riconoscere la natura giuridica di organismo di diritto pubblico a tali società significhi anche ammettere che, proprio in tali ipotesi, sussistono tutte le condizioni richieste dall’art. 113, co. 5, lett. c) cit., per il configurarsi del “controllo analogo”: e cioè, l’influenza dominante dell’ente partecipante nella stessa gestione della società e la realizzazione della maggior parte delle attività sociali con l’ente controllante.
-in secondo luogo, sulla legittimità o meno della previsione dell’affidamento diretto di servizi pubblici locali a società totalmente partecipate dallo stesso ente affidante.
Scegliere di qualificare tali società come organismi di diritto pubblico non implica, forse, l’obbligo di ricorrere alle procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, così come sancito dalle norme comunitarie e nazionali in materia di procedure di aggiudicazione di pubblici appalti [9]?
Oppure è preferibile sostenere che tali organismi sono imprese pubbliche, alla stregua del fatto che la Direttiva appalti in materia di lavori, servizi e forniture, da una parte, e il Codice dei contratti pubblici, dall’altra, non le includono nella categoria delle amministrazioni aggiudicatrici, esonerandole per l’effetto dall’obbligo della gara?
L’obbligo della gara potrebbe, sicuramente, escludersi nell’ipotesi in cui si aderisse al primo indirizzo, per effetto del quale tali società concorrono sul mercato come soggetti giuridici privati e, dunque, non ci sarebbe la necessità di ripristinare il regime della concorrenza a fronte di soggetti che godono di una posizione privilegiata sul mercato (come è, invece, nel caso degli organismi di diritto pubblico e delle imprese pubbliche che godano di diritti speciali ed esclusivi).
Sulla scorta di questi dati, può osservarsi come il problema della natura giuridica della società in house non sia riconducibile ad univoca soluzione, prevalendo quella che potremmo invece definire ‘del caso concreto’, che richiede di mettere in relazione gli elementi costitutivi delle diverse figure di organismo di diritto pubblico, di impresa pubblica e di società privata, da un lato, e quelli propri della società in house, dall’altro.
E invero, partendo dal dato che l’affidamento in house è legittimo a condizione che l’ente pubblico affidante eserciti sulla società affidataria un controllo analogo a quello esperito sui servizi gestiti direttamente e che, a sua volta, la seconda svolga la maggior parte della propria attività in favore dell’ente pubblico (o enti pubblici) di appartenenza (v. sent. Teckal C. Giust. Ce), si può osservare come queste caratteristiche non siano a priori riconducibili né all’organismo di diritto pubblico né all’impresa pubblica né alla società di diritto privato. Pur riconoscendo che l’organo in house non può che essere necessariamente anche un organismo di diritto pubblico, configurandosi come “ente locale in veste societaria” obbligato, per l’effetto, a seguire le norme di evidenza pubblica previste dalla legge con le sole eccezioni dalla stessa consentite (appunto l’in house providing), non è vero tuttavia anche il contrario, e cioè che l’organismo di diritto pubblico possa essere un organo in house.
Ciò perché il controllo analogo richiesto per il legittimo affidamento senza gara esprime un’influenza dell’ente pubblico così radicale (controllo analogo) da essere superiore a quella che, invece, la legge considera sufficiente per aversi un organismo di diritto pubblico (id est, influenza dominante dell’ente pubblico, ricavabile alternativamente dal fatto che la sua attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la sua gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure, ancora, gli organi di amministrazione, di direzione o di vigilanza siano costituiti da membri più della metà dei quali sia designata dallo Stato, dagli enti locali o dal altri organismi di diritto pubblico).
In questo complesso quadro, la società in house costituisce un ‘ibrido’ nel nostro ordinamento giuridico, che ha bisogno di concepirlo come ramo interno o longa manus della pubblica amministrazione per garantirne la sopravvivenza, nel rispetto dei tratti, identificati dalla dottrina tradizionale come salienti, del servizio pubblico attraverso cui si esprime l’azione amministrativa; e cioè: a) l’imputabilità del servizio alla pubblica amministrazione; b) il perseguimento dell’interesse pubblico generale; c) la tipicità dell’organizzazione e delle forme di gestione del servizio pubblico.